Viviamo, o mia Lesbia, e amiamoci,
e le dicerie dei vecchi severi
consideriamole tutte di valore pari a un soldo.
I soli possono tramontare e risorgere;
noi, quando una buona volta finirà questa breve luce,
dobbiamo dormire un’unica notte eterna.Dammi mille baci, poi cento,
poi ancora mille, poi di nuovo cento,
poi senza smettere altri mille, poi cento;
poi, quando ce ne saremo dati molte migliaia,
li confonderemo anzi no, per non sapere (il loro numero)
e perché nessun malvagio ci possa guardare male,
sapendo che ci siamo dati tanti baci.
Viviamo, o mia Lesbia, e Amiamoci: in Originale
Vivamus mea Lesbia, atque amemus,
rumoresque senum severiorum
omnes unius aestimemus assis!
soles occidere et redire possunt:
nobis cum semel occidit brevis lux,
nox est perpetua una dormienda.
Da mi basia mille, deinde centum,
dein mille altera, dein secunda centum,
deinde usque altera mille, deinde centum.
dein, cum milia multa fecerimus,
conturbabimus illa, ne sciamus,
aut ne quis malus invidere possit,
cum tantum sciat esse basiorum.
Chi era Catullo, chi era Lesbia e cosa vuol dire Viviamo, o mia Lesbia, e Amiamoci?
Il Carme 5 del liber catulliano, Viviamo, o mia Lesbia, e Amiamoci, è uno dei carmi più famosi di Catullo dedicati alla adoratissima Lesbia.
A renderlo indimenticabile è la geniale iperbole finale dove il numero dei baci che Catullo desidera dare e ricevere da Lesbia (1000 e poi 100 e poi ancora 1000 e ancora 100) alla fine è talmente alto da perdere il conto agli amanti che nn possono fare a meno di ricevere la benevolenza da chi vuol loro male.
Catullo sa benissimo quanto è breve la vita e non ha intenzione di sprecarne un solo momento a dar conto alle dicerie dei malpensanti.
Catullo morì ad appena 30 anni a Roma nel 54 a.C. La Lesbia delle sue poesie è una nobildonna Romana, Clodia Pulcra, di 10 anni più grande di lui. Clodia era bella, colta, spregiudicata. La loro relazione fu intensa e tumultuosa.
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